Sprechi alimentari, le norme italiane hanno funzionato?
La legge contro gli sprechi alimentari compie un anno: era infatti il 14 settembre del 2016 quando entrava in vigore il provvedimento per favorire le nuove forme di recupero dei prodotti. Ma con quali risultati?
Le differenze rispetto alle altre normative europee sono abbastanza numerose (ad esempio la legge francese contro gli sprechi alimentari punta di più sulle sanzioni, piuttosto che sugli incentivi) ed è dunque difficile compiere un paragone. Inoltre, se è vero che l’obiettivo è quello di diffondere una maggiore sensibilità ambientale, è anche vero che i numeri dello spreco rimangono comunque piuttosto alti, tanto che secondo il rapporto Waste Watcher 2016 (l’Osservatorio nazionale sugli Sprechi, attivo per iniziativa di Last Minute Market) in media ogni italiano butta via ogni mese 2,4 kg di prodotti alimentari e in un anno oltre 8 miliardi di cibo se ne vanno in spazzatura.
Ad ogni modo, i proponenti di quel provvedimento non hanno dubbi e, a un anno dall’entrata in vigore, il bilancio può certamente dirsi positivo. “La legge italiana è diventata un modello anche per gli altri Paesi europei – dice infatti alla stampa nazionale la deputata dem Maria Chiara Gadda, responsabile del dipartimento Spreco alimentare dell’esecutivo Pd e promotrice del provvedimento - le donazioni da parte di imprese impegnate in vari settori della intera filiera economica sono sensibilmente aumentate grazie ad una maggiore semplificazione burocratica e a puntuali disposizioni fiscali che incentivano chi sceglie di erogare beni a titolo gratuito”.
Il dato è stato altresì confermato dalle associazioni di volontariato, che hanno notato un incremento nel numero di beni erogati gratuitamente per quantità e tipologia. La fondazione Banco alimentare, ad esempio, stima un aumento del 20% del recupero delle eccedenze dalla grande distribuzione da settembre 2016 a settembre 2017, grazie ad un incremento dei volumi delle donazioni e una crescita dei punti vendita.