Corruzione, non basta il passaggio di denaro

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Con sentenza della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 20 settembre 2016, n. 39008, i giudici della Suprema Corte hanno contribuito a meglio definire il reato di corruzione, stabilendo che per la sua sussistenza non sia sufficiente la prova della mera dazione di denaro, bensì occorra anche dimostrare la finalizzazione della dazione verso un comportamento contrario ai doveri d'ufficio del soggetto investito di qualifica pubblicistica.

Pertanto, alla luce di una giurisprudenza oramai consolidata, si ricorda come ai fini dell'accertamento del reato di corruzione propria, nelle ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o altra utilità  in favore del pubblico ufficiale, è comunque necessario dimostrare che il compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio è stato “la causa della prestazione dell'utilità  e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera circostanza dell'avvenuta dazione”.

Dunque, non solo è necessario dimostrare la dazione indebita dal privato al pubblico ufficiale, bensì è anche necessario dimostrare che tale azione è finalizzata a un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio, “ovvero alla remunerazione di un già  attuato comportamento contrario ai doveri d'ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica”.

Pertanto, in virtù di quanto affermato, la dazione indebita di una utilità  in favore del pubblico ufficiale non è sufficiente a configurare il reato di corruzione ma può, invece, costituire un indizio dello stesso, da integrarsi poi con la prova della ricordata finalizzazione della dazione al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale.

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