CAI divorzia da UIAA e denuncia sprechi e privilegi illegittimi

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Alla fine, il divorzio tra il Club Alpino Italiano e la UIAA, l’Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche, si è consumato. Dopo le note di dissenso che il Cai, il Club alpino tedesco e quello austriaco avevano manifestato nei confronti dell’amministrazione dell’UIAA, esprimendo disappunto nei confronti delle politiche dell’associazione internazionale, a dir loro più interessata agli sponsor ed alle competizioni di ice climbing piuttosto che alle “attività per le quali è stata fondata: l’alpinismo, la tutela dell’ambiente, la sicurezza e l’attenzione per i giovani”.

Il passo più recente sembra però essere più formale e definitivo. Sulle pagine del numero di agosto di Montagna360, magazine del Cai, il Presidente Generale Vincenzo Torti annuncia l’uscita dalla UIAA a far data dal 2019:

“L’UIAA di oggi, per la mancanza di trasparenza su come opera ed è gestita, per le inesistenti progettualità da parte del Board e per la creazione di priorità estranee all’essenza della Federazione stessa, al punto da vanificare quelle originarie, si è trasformata in una struttura nella quale il Club alpino italiano non si riconosce e dalla quale ritiene di dover prendere le distanze” - scrive Torti, sottolineando sprechi nella gestione dei costi e degli staff.

A questo incipit segue un lungo elenco di malumori, collimato poi con la sottolineatura di “una gestione priva di trasparenza e rispetto alla quale l’organo deputato ai controlli (Management Committee) si vede assegnato un tempo risibile per svolgere la propria funzione: l’ultima riunione convocata a Katmandu (!) prevedeva al mattino l’audizione delle relazioni delle Commissioni e, al pomeriggio, una riunione di poche ore per le attività istituzionali, destinate, in tal modo, a risultare inattuate”.

Insomma, la formalizzazione di un segnale molto forte, che rischia di creare una crepa profondissima nella credibilità dell’associazione, di cui il Cai è stato tra i padri fondatori.

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