Le ultime stime condotte dal Boston Consulting Group non sono proprio le più rassicuranti. Secondo il team di analisti, infatti, lo spreco alimentare globale aumenterà di più del 30% entro il 2030 se non verrà intrapresa alcuna azione correttiva. Si prevede pertanto che un totale di 2,1 miliardi di tonnellate di cibo verrà gettato via o, nell’ipotesi in cui si parli di merci deperibili, andrà perso. Una quantità colossale che, sempre secondo l’analisi condotta da BCG, equivale a circa 66 tonnellate al secondo.
Di contro, secondo le stime riferite al presente, circa 1,6 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno, con un valore di 1,2 trilioni di dollari di cibo, e l’8% delle emissioni di gas serra. Eppure, se è vero che la consapevolezza della perdita di cibo è in aumento (così come i riflessi di questa piaga sulla società e sull’economia), purtroppo non sono altrettanto in aumento i tentativi globali e coordinati per poter affrontare questo problema.
Stando a quanto afferma Shalini Unnikrishnan, partner e amministratore delegato di BCG, i tentavi di contenere gli sprechi alimentari sono infatti frammentati, limitati e insufficienti. Ma come risolvere?
Una possibile soluzione suggerita da BCG è la creazione di un marchio di qualità ecologica, come quelli del prodotto da commercio equo e solidale. Un simile marchio permetterebbe ai consumatori di sapere quali aziende si sono impegnati a ridurre i rifiuti e facilitare l’acquisto responsabile.