Generalmente quando si parla di sprechi alimentari, si finisce con il concentrare la propria attenzione soprattutto sull’aspetto etico: sprecando circa un terzo dei cibi prodotti, si manda in fumo un contributo alimentare sufficiente ad alleviare le sofferenze delle circa 800 milioni di persone che non hanno abbastanza da mangiare ogni giorno, e di almeno altrettante persone che soffrono saltuariamente di penuria d icibo.
Tuttavia, c’è anche un altro aspetto che probabilmente varrebbe la pena considerare: il fatto che sprecare significa inquinare, e inquinare significa contribuire in maniera nociva alle emissioni di co2 nell’ambiente, con impatto negativo sull’atmosfera e sugli esseri umani.
Quanto sopra ci permette di ricollegare le nostre riflessioni – più volte esplicitate negli ultimi mesi – a una nuova ricerca condotta dall’Istituto Postdam, secondo cui nel 2050 la produzione del cibo in eccedenza (ovvero, per intenderci, quello che sappiamo che andrà sprecato) provocherà fino a 2,5 miliardi di tonnellate di gas serra, pari al 14 per cento delle emissioni causate dall’agricoltura.
Dunque, anche alla luce di ciò, diventa sempre più importante cercare di perseguire una positiva strada dello “spreco zero”: un percorso difficile – ma ricco di soddisfazioni – che la tecnologia sembra poter assecondare e sviluppare. Sia sufficiente in tal proposito dare uno sguardo alle tante app che permettono di far incontrare domanda e offerta, e non solamente tra supermercati e clienti, quanto anche tra cittadini che magari si accorgono di aver comprato troppo cibo, e quelli che invece ne hanno bisogno.