Il mondo della moda non si smentisce mai. Secondo quanto riportato da Greenpeace, il settore tessile sarebbe il più inquinante al mondo dopo quello dei combustibili fossili, petrolio e gas. Esso, infatti, è responsabile di oltre il 20% dello spreco mondiale di acqua, ma anche del 10% delle emissioni di CO2. Ma non è tutto. I campi di cotone sarebbero addirittura responsabili per oltre il 20% dell’uso di insetticidi e per l’11% dell’uso di pesticidi.
Il fenomeno “fast fashion”
A questi dati sopra citati si aggiunge però un altro fenomeno sconvolgente: la “fast fashion”, nonché la corsa sfrenata di cambio abiti a settimana (le cosiddette 52 micro stagioni). Si è arrivati, infatti, ad acquistare un capo a pochi euro, la cui lavorazione è basata essenzialmente sulla “schiavitù di mano d’opera”. Il punto è che molto spesso si tratta anche di abbigliamento destinato, nel giro di pochi mesi, a essere buttato via in quanto lo stesso consumatore non gli ha dato il giusto valore.
Quali sono quindi le conseguenze?
Spesso sia le aziende che i rivenditori non riescono a vendere le collezioni e proprio per questo si crea un disagio. In teoria le soluzioni ci sarebbero: le rimanenze potrebbero essere vendute ad outlet o a negozi dell’usato. O ancora meglio essere regalate ad associazioni no profit che si occupano dei disagiati e sfortunati. Ma non è sempre così. Difatti, quando si tratta di alta moda le aziende preferiscono distruggere gli abiti anziché deprezzarli o darli in dono. Una scelta assurda che genera un grande spreco e un enorme impatto ambientale.
L. F.